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dai GIORNALI di OGGI

Bossi: gabbie salariali importanti

Lavoratori non vogliono lasciare i soldi allo Stato

(ANSA) - ROMA, 10 GIU - La Lega crede fermamente nella gabbie salariali

Ipotesi che invece non piace al presidente della Camera, Gianfranco Fini. 'I lavoratori vogliono soldi in busta paga e non vogliono lasciarli allo Stato', spiega il leader del Carroccio Umberto Bossi. Quanto agli accordi per i prossimi ballottaggi alle amministrative, Bossi non si sbilancia: 'Non devo decidere io, decide Berlusconi. Noi vogliamo vincere e basta'.

2009-06-11

Ingegneria Impianti Industriali

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ST

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Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

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L'ARGOMENTO DI OGGI

 

Il mio Pensiero

In una Europa in cui si tenta di portare al medesimo livello gli stipendi, rispunta in Italia l'Idea delle Gabbie Salariali.

Qualcuno pensa che adottandole il costo del lavoro al Nord sarà più competitivo.

Assurdo, in una Italia con costi salariali diversi, chi avrà il costo salariale più alto uscirà dal Mercato, e quindi penalizzerà il Nord.

Invece il costo salariale deve essere collegato alla Produttività, e maggiormente all'Innovazione Tecnologica ed alla Qualità.

D'altra parte i Salari Americani, Tedeschi, Francesi, sono più alti principalmente per la competitività tecnologica.

Poi bisogni ridurre i costi indiretti delle imprese abbassando le tasse, agendo sulla riduzione delle Assicurazioni Inail, dell'Inps sgrvandola dai costi relativi alle pensioni sociali, liberando l'Imprenditoria dalle tangenti della Politica e della Mafia, eliminando gli sprechi, pubblicando online gli appalti, i bilanci delle aziende pubbliche, delle loro gestioni, operando contro l'evasione fiscale, favorendo la cooperazione legata alla scolarizzazione, supporto tecnologico e cooperazione economica sociale con i paesi in via di sviluppo, operando per lo sviluppo in alternativa alle folli spese militari.

Così si diventa Paese Trainante, all'Avanguardia, Leader Mondiale.

Questo vogliono i lavoratori, i pensionati, gli studenti, i disoccupati, gli imprenditori.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

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2008-06-10

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2009-06-10 18:22

Bossi: gabbie salariali importanti

Lavoratori non vogliono lasciare i soldi allo Stato

(ANSA) - ROMA, 10 GIU - La Lega crede fermamente nella gabbie salariali, ipotesi che invece non piace al presidente della Camera, Gianfranco Fini. 'I lavoratori vogliono soldi in busta paga e non vogliono lasciarli allo Stato', spiega il leader del Carroccio Umberto Bossi. Quanto agli accordi per i prossimi ballottaggi alle amministrative, Bossi non si sbilancia: 'Non devo decidere io, decide Berlusconi. Noi vogliamo vincere e basta'.

Dal Sito Internet

 

 

Dal Sito Internet

La scheda

Gabbie salariali

Lo spirito Le zone salariali, considerate dall' industria un elemento di flessibilità del sistema retributivo perché favorevoli alle imprese insediate nelle regioni meno sviluppate, sono state avversate dai sindacati *** Gli scioperi Contro la disparità geografica di trattamento tra i lavoratori si susseguono nel 1969 una serie di scioperi. A gennaio decine di scioperi cittadini e regionali. Il 12 febbraio Cgil, Cisl e Uil proclamano uno sciopero nazionale *** L' eliminazione Il 18 marzo Cgil, Cisl e Uil raggiungono un accordo con Confindustria sull' abolizione delle zone salariali e l' unificazione progressiva dei salari. I minimi saranno uguali in tutta Italia a partire dal 1° luglio 1972 *** La Lega Le zone salariali tornano d' attualità alla fine degli anni Ottanta. Il sindacato del Carroccio, al congresso di fondazione, rilancia l' idea di una contrattazione differenziata tra Nord e Sud: nasce uno dei cavalli di battaglia della Lega *** Gabbie salariali Prima della loro abolizione, in Italia erano in vigore le gabbie salariali: i minimi contrattuali erano differenti a seconda delle province, in modo da tenere conto delle diverse situazioni nelle quali operavano imprese e lavoratori

Pagina 13

(21 aprile 2008) - Corriere della Sera

 

Dal Sito Internet

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=357942

NON CHIAMATELE GABBIE SALARIALI

di Nicola Porro

Bisogna sfuggire dal termine gabbie salariali. Ricorda un processo burocratico con il quale venivano centralisticamente definite le retribuzioni anche se in modo differenziato. Niente di più sbagliato in un mondo produttivo che è costretto a cambiare alla velocità della luce. Resta però il principio sacrosanto: allineare le retribuzioni all’effettivo costo della vita. Occorre rottamare per sempre quel nefasto principio per cui il salario è una variabile indipendente. Da tutto. Dagli utili della società come dal costo della vita.

La Lega ha intuito per tempo questa discrasia e la cavalcherà. C’è da scommetterci. Così come ha fatto con il federalismo fiscale. Ma bisogna ricondurre il dibattito sui binari della razionalità economica. L’adeguamento degli stipendi al costo della vita, non ha la sua ragione d’essere principale nella penalizzazione di chi oggi è avvantaggiato da questo assurdo livellamento. Ecco alcune ragioni tutte economiche.

1. Rendere più territoriale il proprio stipendio porta con sé il vantaggio di depotenziare i contratti nazionali, ridicolizza la caratteristica tutta italiana di avere quasi cento diversi contratti di categoria. I contratti nazionali si potrebbero limitare a quattro-cinque macrocategorie (pubblico impiego, industria, servizi, commercio e artigiano, per esempio). In maniera tale da stabilire i fondamentali dettagli a livello territoriale e aziendale. Nel primo ambito valorizzando il diverso costo della vita. E nel secondo la diversa produttività tra azienda e azienda. Sì certo: più competizione e meno appiattimento.

2. Le burocrazie sindacali, sia dei lavoratori sia degli imprenditori, perderebbero quel potere di veto nazionali. Chi conta è chi è sul territorio. Chi si sporca le mani. Chi conosce le aziende e il costo della vita angolo per angolo. Il peso della grande impresa sarebbe subordinato alla realtà dell’Italia: che invece è fatta di milioni di piccole e medie.

3. Infine le aree più svantaggiate, a minor costo della vita, avrebbero stipendi più bassi. Per questa via esse potrebbero iniziare un cammino di sviluppo. Perché investire all’estero quando in casa si possono avere condizioni di lavoro favorevoli? Il caso romeno è significativo. Molti imprenditori hanno là impiantato le proprie industrie per godere del minor costo del lavoro. Ma proprio grazie a questo intervento l’asticella delle retribuzioni, oltre che il Pil, di quel Paese si è alzato. Insomma un modo di mercato per lo sviluppo del Sud. Altro che penalizzazione.

 

 

Dal Sito Internet

http://www.italia-news.it/index.php?idcnt=5724&lang=it

Bossi e i salari territoriali e gabbie salariali , buste paga diverse da nord a sud

Autore: dopstart pubblicato il : 16/05/2009

Bossi e i salari territoriali e gabbie salariali , buste paga diverse da nord a sudPer chi ha ancora la busta paga può contare sul fatto che arriveranno interessanti novità dal governo. Secondo quanto dichiara il leader della Lega e ministro del governo Berlusconi, Umberto Bossi, ci saranno salari territoriali o anche detti contratti regionali. E Bossi spiega "i lavoratori del nord e quelli del sud devono avere due diverse buste paga. Il salario nazionale ha creato solo poverta', e' troppo rigido".

E' insomma la vecchia idea delle gabbie salariali che potrebbe tornare. Cosa significa esattamente gabbie salariali?

Le gabbie salariali furono introdotte negli anni 50 per pagare meno i lavoratori del sud cosichè a parità di mansione i lavoratori del sud guadagnavano meno. Questo divario esistente nella retribuzione dei lavoratori, che pure svolgevano mansioni identiche, era giustificato in ragione del fatto che il costo della vita era più elevato in una grande città del Nord che in una zona più depressa del Mezzogiorno.

Le agitazioni sindacali dell'autunno caldo del 1969 portarono all'abolizione graduale di questi accordi, dei quali non si tenne più conto a partire dalle contrattazioni salariali del settembre 1972.

E la questione sollevata da Bossi non è nuova.

Su La Stampa del 17 Febbraio 2004 c'era un articolo dal titolo "E Maroni rispolvera le gabbie salariali". Cinque anni fa Maroni, all'epoca ministro del Welfare dichiarava: "Un contratto unico nazionale - ha detto Maroni - che preveda stipendi e salari uguali ovunque, che non tengono conto quindi del costo della vita che è localmente diverso, da Regione a Regione e da Provincia a Provincia, è un contratto che non garantisce il valore reale degli stipendi e dei salari".

Voi cosa ne pensate?

 

 

 

 

Dal Sito Internet

http://www.filcams.cgil.it/stampa.nsf/0/689e0578e358328bc1256e3d0039cc47?OpenDocument

La Stampa WEB

17 Febbraio 2004

E Maroni rispolvera le gabbie salariali

Il ministro ai sindacati: discutiamo di potere d’acquisto e contratti diversificati

Roberto Giovannini

ROMA

Il governo torna all’assalto sul tema delle "gabbie salariali". Ieri il ministro del Welfare Roberto Maroni ha rilanciato l’esigenza di collegare più strettamente il salario che viene contrattato da aziende e sindacati con la realtà locale in cui sono fisicamente situati lavoratori e imprese. "Un contratto unico nazionale - ha detto Maroni - che preveda stipendi e salari uguali ovunque, che non tengono conto quindi del costo della vita che è localmente diverso, da Regione a Regione e da Provincia a Provincia, è un contratto che non garantisce il valore reale degli stipendi e dei salari".

Una linea, quella del depotenziamento o dell’abolizione dei contratti nazionali di categoria, già sostenuta nel "Libro Bianco" sul lavoro di Marco Biagi, che se attuata cambierebbe completamente il sistema contrattuale oggi in vigore: come prescrivono gli accordi del luglio del ‘93, oggi il salario (inteso come recupero del potere d’acquisto rispetto all’inflazione) viene negoziato a livello nazionale, nei contratti di categoria. A livello aziendale o territoriale, invece, le parti sociali contrattano aumenti legati ai miglioramenti del processo produttivo e della produttività del lavoro. È un tema, ha detto Maroni, "che questo governo ha promesso ai sindacati di aprire per affrontare il problema del carovita, un tavolo che credo si possa aprire dopo giovedì prossimo, quando ci sarà la fase conclusiva del confronto sulle pensioni". Anche perché, ha proseguito, "le parti sociali hanno un ruolo che loro compete, ed è quello della revisione dei modelli contrattuali. Su questo tema c'è una riflessione in corso da parte di alcune parti sociali, come Cisl e Confindustria e, come c'è scritto nel "libro bianco" di Marco Biagi, occorre ridefinire il modello contrattuale per tener conto del costo della vita. Allora si avrebbe una struttura del salario più articolata e più flessibile che non farebbe venir meno la necessità del contratto unico nazionale, ma adatterebbe la retribuzione al costo della vita distribuendo ovunque salari reali e non fittizi".

Sempre ieri, però, Maroni ha ammesso che questo "è un tema che compete alle parti sociali e non al governo, il quale non può fare altro che sollecitare ma non normare". E in effetti le cose stanno così: le regole della contrattazione sindacale sono definite autonomamente da sindacati e imprenditori. Tutti sanno che il governo - e a maggior ragione il leghista ministro del Welfare - vedrebbe con favore una contrattazione regionale, vicina per molti versi al vecchio sistema - abbandonato negli anni ‘60 - delle "gabbie salariali" per provincia, sotto la spinta delle lotte dell’"autunno caldo". Una idea che - anche se in una forma non meglio precisata - piace anche al leader della Margherita Francesco Rutelli. Ma allo stesso tempo, è chiarissimo che non è alle viste alcun possibile accordo tra sindacati e Confindustria sull’argomento. Se non altro, perché Confindustria per molti mesi sarà impegnata nel rinnovamento del vertice; e in assenza di una guida dell’associazione dei datori di lavoro, è del tutto irrealistico immaginare l’avvio di un negoziato tanto impegnativo. In più, i sostenitori della contrattazione regionale o delle gabbie salariali vere e proprie devono fare i conti con la posizione delle tre centrali sindacali. Che (con maggiore o minore entusiasmo) non hanno nessuna intenzione di abbandonare il sistema incentrato sui contratti nazionali di categoria.

È la Cisl il sindacato che più si è esposto sull’argomento: da molti anni il sindacato di Via Po propugna un potenziamento sostanziale del secondo livello contrattuale (aziendale o in alternativa territoriale, affidandogli più materie negoziali. Oggi, il sindacato di Savino Pezzotta definisce il contratto nazionale "un elemento di equilibrio", ma ha in effetti chiesto più volte alle altre organizzazioni di discutere come articolare la contrattazione tenendo conto delle peculiarità aziendali e territoriali. La Uil con il numero uno Luigi Angeletti ha bocciato l'ipotesi delle gabbie salariali come "un'idea senza senso" mentre la Cgil, difende il modello contrattuale attuale chiedendo di estendere la contrattazione di secondo livello senza ridurre il peso del contratto nazionale, che continua a ritenere un elemento centrale per la salvaguardia del potere d’acquisto, in grado di consentire più forza contrattuale ai lavoratori delle aree più deboli e di ridurre gradualmente le distanze di reddito che ancora separano Nord e Sud.

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2009-06-11

 

 

 

 

 

ADNKRONOS

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SALARI: BOSSI, GABBIE? DIAMO TEMPO ALLA PROPOSTA DI MATURARE

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Roma, 10 giu. (Adnkronos) - Per Umberto Bossi quella delle gabbie salariali resta una proposta prioritaria per la Lega, nonostante lo stop di Gianfranco Fini. Resta dunque una proposta della Lega? chiedono i cronisti a Bossi: "E' una proposta del popolo", sottolinea il leader del Carroccio che invita ad avere pazienza: "Diamo il tempo a questa proposta di maturare...".

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2008-06-11

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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il SOLE 24 ORE

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2009-06-11

 

La vera gabbia è stipendio uguale con prezzi diversi

di Fabrizio Galimberti

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Mercoledí 23 Aprile 2008

L'abolizione delle gabbie salariali creò le gabbie salariali. Non è un gioco di parole ma il significato profondo di quella "grande vittoria" del movimento operaio che in quel convulso 1969 portò all'abolizione dei differenziali salariali fra Nord e Sud.

C'è infatti un elemento - il diverso livello del costo della vita nelle diverse regioni - di cui bisogna tener conto quando si parla di salari diversi. In un Paese profondamente dualistico come l'Italia i salari territorialmente eguali sono in realtà diversi, dato che il loro potere d'acquisto varia a seconda del costo della vita nelle diverse aree del Paese. Di questo fatto, che tutti hanno in qualche misura constatato viaggiando, esistevano confuse certezze ma non c'era modo di metterci sopra il dito dei numeri. Oggi la certezza è meno confusa, grazie alle rilevazioni dell'Istat sopra "Le differenze nel livello dei prezzi fra i capoluoghi delle regioni italiane".

In effetti, per quanto riguarda le statistiche sul livello del costo della vita (in quanto distinto dalla dinamica) ci trovavamo in una situazione paradossale. Ormai da molti anni gli organismi internazionali pubblicano dati sui livelli dei prezzi in tutti i Paesi del mondo; da questi dati - le famose "parità di potere d'acquisto" - è possibile fare confronti sui redditi "veri" (cioè non distorti dai diversi livelli di prezzo) dei Paesi del globo terracqueo, sia per il reddito totale che per il reddito pro capite (vedasi, per esempio, la recente polemica sul "sorpasso" del reddito medio spagnolo rispetto a quello italiano). Ma, mentre era possibile confrontare il livello dei prezzi in Danimarca e nel Bangladesh, in Giappone e in Bolivia, in Italia e in Francia, non ci era dato sapere di quanto differisse quel livello fra Palermo e Milano, o fra Venezia e Potenza.

I dati dell'Istat su questo fondamentale aspetto sono allo stesso tempo benvenuti e deludenti. Benvenuti, perché colmano una lacuna, e non solo italiana (non ci sono altri Paesi che si siano cimentati in confronti infra-nazionali del costo della vita). Deludenti, perché riguardano solo tre capitoli di spesa, che coprono circa un terzo dei consumi delle famiglie. A ogni modo, già questo risultato limitato conferma la stazza delle diversità: una semplice media aritmetica delle differenze fra livelli minimi e massimi del costo della vita nei venti capoluoghi porta a un divario del 37% circa.

Questo inizio di legislatura è un tempo propizio per affrontare due grandi temi: il recupero di competitività e di produttività, condizione essenziale per innalzare il sentiero di crescita dell'economia; e il mantenimento della retta via sui conti pubblici, che implica un forte controllo sulle spese di personale. Su ambedue questi temi i dati territoriali sul costo della vita forniscono una importante base conoscitiva per la riforma della contrattazione. Anche se è vero che il salario deve per prima cosa corrispondere alla produttività, è anche vero che, in un sistema a contrattazione fortemente centralizzata come quello italiano, questi dati sono un elemento utile. E sono ancora più utili per la contrattazione pubblica, dove il concetto di produttività è più sfumato e le mansioni più omogenee: dare lo stesso stipendio a un postino a Milano e a Potenza rappresenta davvero una gabbia salariale.

È insomma importante che l'Istat completi al più presto queste rilevazioni, destinando se necessario maggiori risorse a questo scopo. E, sia detto, senza attardarsi troppo sui pur comprensibili "dubbi scientifici" legati a questi confronti. È vero che è difficile definire panieri omogenei per aree disomogenee; ma le metodologie internazionali applicate ai confronti sopra ricordati non si sono fatte spaventare da queste difficioltà. Parafrasando la famosa battuta di John Maynard Keynes, l'Istat non dovrebbe, per paura di dire cose "precisamente sbagliate", esitare a dire cose "approssimativamente giuste".

I PUNTI CHIAVE

1969 - L'abolizione

È l'anno in cui le "gabbie salariali" vennero abolite. A febbraio infatti i sindacati proclamorono uno sciopero generale per ottenere l'unificazione dei minimi salariali in tutto il Paese che fino a quel momento era diviso in due "zone salariali", una al Nord e una al Sud.

37% - Le differenze

È la differenza, aritmetica, fra i livelli minimi e massimi del costo della vita nei venti capoluoghi

 

 

 

 

 

 

 

 

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